Avevo 8 anni quando vidi, per la prima volta, come “nasce” sa resolza pattadesa, il coltello a serramanico diffuso in tutta la Sardegna. Una mattina con i miei compagni di classe e la maestra ci recammo in un noto laboratorio di Pattada per osservare da vicino la creazione di questo importante e prezioso oggetto di culto. Ricordo che rimasi affascinata nell’ammirare come il materiale grezzo, sotto le mani del fabbro e attraverso le diverse fasi della lavorazione, iniziava a prendere forma e trasformarsi in quello che oggi rappresenta un importante simbolo della nostra isola.
La lama è a forma di foglia di mirto, una forma elegante e slanciata in acciaio e in damasco. Il manico del coltello, invece, si ottiene dal corno del muflone. Dipende poi dalla maestria e dalle particolari abilità di ciascun fabbro renderlo unico dandogli un tocco personale. Non avevo mai capito l’importanza che potesse avere sa pattadesa fino al momento in cui ho potuto vederne la creazione con i miei occhi, interamente realizzata e modellata dalle mani del fabbro con materiali selezionati ed unici che la rendono distinguibile dalle varie imitazioni.
La mia famiglia ne possiede 4 di resolzas. Sin da piccola ho visto mio padre utilizzarle durante le cene in casa, i suoi spuntini con amici o semplicemente per affettare salame e formaggio ma ho sempre pensato che fosse un buon coltello tagliente. E mi sbagliavo perché è molto di più.
Inizialmente sa resolza era molto diffusa nell’ambito agro-pastorale. Era per i pastori e i contadini uno strumento particolarmente ricercato e indispensabile per la sua utilità, la sua efficacia e chiaramente già da allora per la sua bellezza. L’ambiente dove questo oggetto veniva tradizionalmente lavorato era su fraile, la fucina. Su fraile pattadesu era solitamente un ambiente non molto grande dove al centro un robusto ceppo d’albero sosteneva l’incudine su cui poggiavano la mazza e il martello. Addossato ad una parete su bancu, il banco da lavoro, con diversi attrezzi e arnesi tra cui su trabanu a manu (il trapano), sos malteddos (i martelli), sas tenazzas (le tenaglie), sas serras (i seghetti) e sos iscalpeddos (gli scalpelli).
Furono i fratelli Mimmia e Giuanne Bellu di Pattada a iniziare la lavorazione della pattadese nella seconda metà dell’Ottocento. L’attuale resolza a quei tempi è stata preceduta da sa còrrina, una sorta di coltello fatto con un corno di capra o mascinu, cioè di montone, a lama fissa la cui forma era, secondo varie testimonianze, più o meno simile a quella attuale. Era un coltello piuttosto grossolano e molto diffuso la cui lama veniva infilata in un pezzo di sughero pro no offendere, cioè per non ferirsi quando veniva riposto in tasca.
Il coltello di Pattada, insomma, non è solo un coltello ma è Pattada, è la sua storia passata, la sua cultura presente e la sua tradizione futura.
Tiziana Rusciellas