Marco Antonio Pia, più semplicemente Marco per chi lo conosce, è uno studente di San Nicolò d’Arcidano che vive a Cagliari. Proprio ieri si è reso protagonista di un gesto semplice quanto apprezzato: in un momento di noia durante le lunghe giornate che tutti noi stiamo passando chiusi in casa, ha deciso: “tocca che rallegriamo un po’ il quartiere!”. Ha imbracciato il suo organetto, è uscito in terrazzo e si è messo ad improvvisare.
La performance, registrata da una sua amica, ha conquistato prima il quartiere (in tanti si sono affacciati a sentire la musica e ballare), poi il web. Il suo video ha infatti collezionato 85mila visualizzazioni e 3.200 condivisioni: un’allegria travolgente che vi invitiamo a vedere (se ancora non ne foste a conoscenza) a fine intervista.
Marco, emigrato per un breve periodo a Firenze e socio dell’ACSIT, lo storico circolo sardo della città, ha gentilmente accettato di affrontare una chiacchierata virtuale con noi.
- Ciao Marco, da ieri sei la stella del web in Sardegna per la tua idea anti tristezza e anti noia… ce ne vuoi parlare? Cosa è successo? Come hai avuto questa pensata?
Ciao! Che dire, sono sconcertato dall’impressionante numero di visualizzazioni e condivisioni che il video di ieri sera ha avuto…tantissimi mi hanno scritto, ringraziandomi di cuore con parole per me toccanti; altri video mi sono arrivati da persone che abitano davanti al palazzo dove vivo a Cagliari, fino ad un attimo prima totalmente sconosciute! E pure quelli sono divenuti virali tramite altre pagine che hanno iniziato a condividermi a effetto domino! Impressionante!
Come mi è venuta questa idea? È stato un flash, un’idea improvvisa, della serie: “tocca che rallegriamo un po’ il quartiere!”. Alla Sartiglia quest’anno grazie alla capo gruppo del Gruppo Folk Arcidanese, l’intraprendente Gigliola Zedda, mi sono lanciato per la prima volta in una rocambolesca esibizione amatoriale, e durante la sfilata ho suonato e cantato un po’ come faccio nei miei frequenti spuntini, improvvisando rime divertenti che la gente ha apprezzato molto. Da lì ho visto che nonostante sia un “improddieri” (un improvvisatore) la gente apprezzava il mio stile semplice e “naturale”, così ho voluto rimettere in atto quell’esperienza divertente dal mio balcone, ora che siamo giustamente costretti a stare in casa, per cercare di portare allegria e speranza nel mio quartiere! “Gente allegra Dio l’aiuta” diceva Don Bosco, e così ho pensato di seminare allegria, e speranza!
- Suoni da tanto l’organetto? Chi ti ha insegnato a suonarlo? E il testo, come hai avuto l’idea? Quali sono le strofe che ti piacciono di più?
Allora, “suonicchio” da circa un annetto. Era un desiderio che avevo sin da bambino, quando a poco più di sei anni e mezzo ho iniziato a frequentare il Gruppo Folk del mio paese, San Nicolò d’Arcidano, ma mai lo avevo potuto coltivare. La mia passione per il Canto e la Musica Sarda unita a quella per gli Spuntini, che promuovo da anni con la ferma convinzione che siano un altissimo strumento di socializzazione, e oggi più che mai di “ri-umanizzazione”, mi ha spinto a prendere in mano l’organetto per rendere le nostre feste più allegre e divertenti. Ho iniziato con Mattia Murru di Sindia – tra l’altro conosciuto ad un evento della F.A.S.I. a Milano! – e ora proseguo con Roberto Fadda di Austis.
Alcune delle cose che suono, tuttavia, e i testi che canto specialmente, sono mie improvvisazioni, nate seguendo “l’orecchio” e utili più che altro ad accompagnare momenti di festa tra amici.
Ieri tra le tante fesserie che cantavo per far sorridere la gente ho “sparato” queste:
“immoi si fatzu, si fatzu ua rima e chi dda teneis buffaisì ua birra!” (ora vi faccio una rima, e voi se l’avete, bevetevi una birra!) e anche “mancai serrau, mancai serrau, deu seu sempri, sempri spassiau!” (che tradotto nel suo senso sarebbe: anche se stò chiuso – per via della quarantena – mi diverto sempre lo stesso!).
Non punto a diventare una cima, basta che faccia divertire chi ho intorno e questo mi basta!
- Cosa fai nella vita?
Dopo un lungo percorso di studi in Filosofia e Teologia che non ho terminato mi sono dedicato preminentemente al lavoro, finché ho deciso di intraprendere la laurea in Scienze Pedagogiche per trasformare le mie esperienze in campo umanitario e i miei studi pregressi in un dono da far fruttare per gli altri. Vorrei diventare un educatore e se sarà possibile fare qualcosa di più, come dare forma a una realtà educativa dove poter lavorare con i più sofferenti e gli emarginati.
Un sogno, che metto nelle mani di Dio e che cerco di costruire impegnandomi ogni giorno con responsabilità in ciò che devo fare ora. Age quod agis, insegna la saggezza antica: fai ciò che stai facendo, e fallo bene. Il segreto per farcela, in tutte le cose, sta nel vivere con impegno il momento presente. E ci credo molto.
Recentemente mi sono pure addentrato nel mondo della scrittura pubblicando una raccolta di poesie.
- Hai avuto un passato, seppur breve, da emigrato: che ricordi hai? Cosa preferisci della vita “in continente” e cosa della vita in Sardegna?
Il mio vivere fuori è stato caratterizzato fondamentalmente da una ricerca e riflessione puntuale: il modo che l’uomo ha di reagire alla vita, in tutti i suoi molteplici aspetti, e quali strategie cerca per rispondervi concretamente. Questo mi ha portato a confrontare pregi e difetti della nostra cultura sarda odierna, in rapporto al “continente” e al mondo globalizzato in cui siamo immersi.
Dello stile del “continente” ho appreso il coraggio e la necessità del confronto, l’apertura all’innovazione e al diverso da sé come fondamento di una crescita reciproca, e questo vale certamente a priori per un discorso di “umanità” e di etica che non può non essere comune a tutti i popoli moderni, quanto nello specifico nel settore economico, culturale e politico in una prospettiva di sviluppo concreto per il proprio territorio. Tuttavia non scambierei per nulla al mondo la vita in Sardegna, per me luogo privilegiato e forte dove esprimere la mia forte sete di umanità, di fraternità e semplicità, come ieri è successo mettendomi liberamente a suonare e cantare dal balcone trovando nei miei fratelli e sorelle sardi un popolo che ha risposto con gratitudine, ballando con me. Perché siamo gente che ama la vita, e lo grida forte! Nonostante il dolore e la paura per ciò che stiamo vivendo in questo difficile momento storico. Ed è questa l’umanità che mi piace, e che credo dobbiamo coltivare e regalare al mondo, come peculiarità del popolo sardo.
- Questo “progetto” avrà un seguito?
Quale progetto? Ahahah! No, non ho nessun progetto al momento, “m’ammanca scetti cussu” (mi manca solo quello!). Sono un sardo, in mezzo a sardi, che ama fare cose sarde, per sentirci sempre più sardi, o più umani per come la vedo io, nel nostro piccolo. Stasera comunque accoglierò l’invito che è stato fatto in tutta Italia di suonare dalle proprie finestre e dalle 18 anche io mi unirò per un altro momento di allegria, per continuare la nostra “quarantena” seminando speranza! “Siada po’ amor’ ‘e Deus”, (Vada a maggior amore per Dio) come dicevano i nostri nonni.
Se siete arrivati fin qua e non avete ancora visto il suo video, eccolo pronto:
Molto bravo e divertente. Complimenti Marco, vai avanti così.
Bravo!!!….
Bravissimo, Marco. Grazie per questa tua splendida performance e per l’allegro regalo fatto a tutti noi.